Spedizione China Jam: bigwall nel cuore della catena montuosa del Tien Shan
Quest'anno, gli arrampicatori belgi Sean Villanueva O'Driscoll, Nicolas Favresse e Stéphane Hanssens decidono di fare una nuova avventura insieme, ma con un'eccezione alle loro regole, questa volta sono accompagnati dal francese Evrard Wendenbaum per fare foto, immagini e video dell'avventura. Scopri la storia della spedizione in una regione ancora in gran parte sconosciuta ai confini del Kirghizistan, raccontata e illustrata da Evrard e Stéphane.
14 Ottobre 2013
Alpinismo
Pakistan sotto attacco: bisogna cambiare l’obiettivo
Solo alla fine di giugno 2013, un terribile attentato colpisce il Pakistan, e per la prima volta, l'intera comunità degli alpinisti. Decidiamo purtroppo di annullare il nostro viaggio. E' il momento di trovare un nuovo obiettivo.
Il Kokshaal occidentale, la catena montuosa di Tau
Mobilitiamo i cieli e la terra, tutti i nostri amici scalatori e alpinisti sono coinvolti per trovare LA giusta parete, ma nulla sembra corrispondere alle nostre aspettative. Finalmente, un articolo dell'American Alpine Journal firmato da Mike Libecki ci mette su una pista, la catena montuosa di Kokshaal Tau Occidentale. Non sappiamo molto circa le reali potenzialità di questo luogo, del meteo che ci si può aspettare o di altri parametri importanti per organizzare correttamente una spedizione, ma i pochi scambi di e-mail con Mike, anche se abbastanza vaghi, sono sufficienti a convincerci. Tutto questo è di buon auspicio.
Questo massiccio, situato sulla frontiera del Kirghizistan, nel cuore della catena del Tien Shan in cui molti picchi sfiorano 6.000 metri di altitudine, è ancora in gran parte sconosciuto agli alpinisti, anche dal lato cinese. Xinjiang è grosso modo l'equivalente del Tibet, una terra favolosa, immensi, ricchi paesaggi infiniti, ma teatro di una repressione della popolazione indigena a volte sanguinosa. Gli Uiguri, musulmani di origine turca-mongola, sono regolarmente brutalizzati dall’esercito cinese onnipresente. La regione è chiusa agli stranieri, e viene richiesto un permesso speciale per potervi entrare.
Sul cammello..
E' solo a fine agosto che voliamo verso Urumqi, capitale dello Xinjiang, dopo aver negoziato la logistica con un'agenzia locale, ottenuto i permessi e riorganizzato i nostri programmi. Pochi giorni dopo, ci ritroviamo tutti e quattro, dopo diverse peripezie, procedure amministrative e posti di blocco, ai piedi della morena di un bel ghiacciaio. Abbandoniamo qui i cammelli, che, con i loro lunghi tipo peluche e la loro andatura altezzosa, hanno trasportato senza batter ciglio le nostre centinaia di chili di materiale e cibo. Questo sarà il nostro campo base, siamo a 3.600 metri, fa freddo.
Le complessità amministrative
In realtà, non siamo in quattro ma in sei, in questo campo. Noi siamo, in effetti, accompagnati da un ufficiale di collegamento cinese e da una guida-traduttore. Ci sembrano un po' angosciati. Parlando con loro, capiamo che la nostra agenzia ci ha rilasciato un permesso di trekking e non di arrampicata, nonostante sappiano molto bene che qui non faremo solo camminate. Inoltre, la licenza stipula che non abbiamo diritto di avvicinarci a meno di cinque chilometri dal confine, ed è risaputo che le cime più belle sono proprio sul confine. Infine, non abbiamo il diritto di fotografare o filmare, mentre siamo attrezzati con più di sei macchine fotografiche e videocamere , microfoni, ecc..
Un meteo lunatico
Durante i primi quattro giorni di acclimatamento e di esplorazione della valle, troviamo che l'unica cosa stabile del clima locale è la sua instabilità. Ogni mattina, fa bello, o quasi. E ogni pomeriggio il tempo peggiora e finiamo tremanti sotto la neve che cade bagnata, e lascia le nostre facce infarinate per tutta la mattina successiva. E' solo grazie ad una bella schiarita di pochi minuti che troviamo un obiettivo all'altezza delle nostre aspettative: una gigantesca parete rocciosa esposta a sud-est, segnata da un netto pilastro, che parte da circa 4.600 metri e arriva a più di 5.800 nella parte superiore della seconda montagna più alta del massiccio, il Kyzyl Asker (o Soldato Rosso).
Il balletto del materiale tra i campi
Da lì, iniziano i trasporti. Prima dal campo base verso il nostro campo avanzato, poi dal campo avanzato verso il piede della parete. Un balletto che durerà sei giorni. Ci portiamo in parete il cibo per circa quindici giorni, 800 metri di corde diverse, due portaledges (brande), una buona quantità di friends e nuts di tutti i tipi, il materiale per foto e video, vestiti caldi e sacchi a pelo, piccozze e ramponi per la fine della parete che sembra molto bianca e, naturalmente.. degli strumenti musicali. Sia le condizioni meteorologiche che l'altitudine, ci portano a pensare che passeremo un bel po' di tempo sulle brande.
Le insidie della salita
Nei primi giorni di salita, l'altitudine ci gioca qualche scherzo. All'inizio, tutto è più lento. La risalita con le maniglie, il sollevamento delle sacche, l'arrampicata, ma anche semplicemente l'uscita dal sacco a pelo o la minima decisione da prendere. Inoltre abbiamo male alle mani. Ogni minimo graffio non si cicatrizza e si trasforma in infezione purulenta; immaginate la felicità di questa arrampicata fatta tutta in fessura, che richiede l’incastro di dita, mani e pugni.
Tra piacere e dolore
Ma è soprattutto il freddo, corollario dell'altitudine, il vero problema. A volte, perfino con il sole, è impossibile salire talmente il freddo è pungente. Di notte la temperatura scende quasi sempre fino a -15°. Anche dentro la portaledge, riusciamo a malapena a superare gli 8°. Sean, proclama ad alta voce il suo piacere di soffrire, e osservando la sua evoluzione degli ultimi giorni, entusiasta ed energico, ha l’aria di amare tutto questo.
Bavella !
"Ragazzi, il prossimo tiro sarà Bavella, sarà magico!" Sean urla da una sosta. È vero che la qualità della roccia è eccezionale. Ogni lunghezza è un piacere e le realizziamo quasi tutte "a vista". Le difficoltà non sono eccessive, fino al 7b, ed il pilastro, intervallato da qualche sporgenza a gradino, ci permette di installare un accampamento comodo.
Preparazione alla cima
Dopo dieci giorni di progressione, quasi 700 metri di dislivello e tre spostamenti tra i campi, è il momento di pianificare il nostro assalto alla vetta. Ma con il freddo estremo ed il meteo instabile, temiamo il peggio e vogliamo ridurre al minimo il tempo lontano dalle nostre corde fisse, e quindi il ritorno alle nostre portaledge, veri rifugi, deve essere veloce.
Falsa partenza
Il 21 settembre tutto è pronto per un tentativo verso la vetta. Ma al risveglio, nevica. Aspettiamo un po', ma poi decidiamo di rinviare la salita al giorno successivo. Continua a nevicare fino a sera, ed abbiamo paura di dover aspettare ancora per tutto il giorno successivo. Cominciamo a vedere la fine delle nostre razioni di cibo. Ma il giorno dopo, al risveglio: "E' bello ragazzi!" grida Nicolas. Partiamo!
Il vento glaciale
La giornata è bella, una delle migliori che abbiamo avuto da quando siamo qui. Gli ultimi 300 metri sono vie di ghiaccio e misto poi attraversiamo, sotto delle grandi cornici, alcuni pendii instabili di neve polverosa. Di notte raggiungiamo la cima. Il vento è freddo, e nonostante la nostra voglia di scendere, non torneremo alle portaledges prima delle 4 del mattino. La salita finale è durata circa 19 ore.
Il tempo della meditazione
Il giorno successivo siamo stanchi e ci svegliamo alle 14:00, sotto un sole timido ma piacevole. Siamo sempre a 5.200 metri. E' il momento della meditazione, del rilassamento, del riposo fuori dal tempo. Sento che non riusciremmo a far altro che.. oziare! Sean sta ancora dormendo. Steph rompe il silenzio dicendo: "Io ho un congelamento, non riesco a sentire i piedi, e non è bello". Chiamiamo subito il servizio SOS Congelamento Ifremmont (Istituto di formazione e di ricerca in medicina di montagna) e il medico ci spiega che, visti i sintomi, Stéphane deve scendere al più presto e rientrare in Belgio per farsi trattare correttamente.*
Lo spirito di squadra prima di tutto
La nostra licenza non consente a uno dei membri di abbandonare la spedizione senza gli altri, è la fine dell'avventura. Certamente una piccola delusione, ma lo spirito di squadra è la cosa più importante in una spedizione.
Dopo 14 giorni in parete, riusciamo a portare tutto il nostro materiale al campo base in due giorni. I cammelli ci aspettano. Ancora una giornata di marcia lungo alpeggi costellati da splendidi blocchi (che ci fanno venire una gran voglia di scalare) e la sera stessa, ci godiamo spiedini, intestini ripieni di riso, zuppe e altre specialità locali.
Stéphane Hanssens e Evrard Wendenbaum
* L'8 ottobre, dopo una settimana passata in ospedale, Stéphane torna a casa con una prognosi piuttosto incoraggiante. Non perde nessuna delle sue preziose dita dei piedi, forse eventualmente un paio di pezzi di pelle. Ci vorrà solo del tempo per il recupero. Auguri e pazienza Steph!
Aspettando il video
China Jam - Short Song from Evrard Wendenbaum on Vimeo.
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